di Luca Marcolini

 

Corona-virusQualche mese fa, nessuno avrebbe neppur lontanamente immaginato che sarebbe stato un virus a mettere in freezer, nel giro di qualche settimana, la nazione degli scienziati, degli artisti, dei navigatori, degli eroi. Il Paese della creatività, della moda della cucina, del problem solving (con soluzioni per ogni problema). Ma in realtà, aldilà del contagio (che arrivato con un punto interrogativo si sta rivelando ora un nemico che non guarda in faccia nessuno), siamo certi che – nel buio profondo dell’angoscia per il numero di morti che quotidianamente, purtroppo, finiscono sul pallottoliere mediatico – quella che l’Italia si trova ad affrontare è una prova fondamentale per scoprire se, di fatto, siamo di fronte ad un popolo responsabile, compatto e consapevole del proprio ruolo oppure se ci troviamo davanti ad una accozzaglia di menefreghisti che calpestano senza curarsene l’unica speranza nazionale per poter uscire da quel freezer e tornare a respirare.

Adesso, dopo l’ultimo (in ordine temporale) decreto del Governo, siamo tutti uguali davvero. Tutti limitati, prescritti, immobilizzati sul divano di casa per il bene del Paese. E ad ognuno di noi si sta chiedendo, forse per la prima volta, di scegliere se davvero vogliamo portare la nostra nazione fuori dal tunnel dell’epidemia che aspira a divenire pandemia oppure no. Perché stavolta siamo chiamati a metterci la faccia senza poterci permettere di scaricare le responsabilità su qualcun altro. Stavolta se si fallirà l’obiettivo, sarà un fallimento di tutti noi. L’ordine è perentorio e inequivocabile: tutti in casa, senza alternative, almeno fino al 3 aprile. Servirà per riflettere sul vero valore della vita.

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