La perizia conferma: gli sfollati di via Po non potranno più abitare in quelle case

E’ rischioso abitare nelle case di via Po che si affacciano, a strapiombo, sul torrente Chiaro. A fugare ogni dubbio, in  tal senso, è la recente relazione del geologo incaricato dall’Arengo di verificare lo stato di fatto e capire quali fossero i reali rischi per quegli edifici che da troppi anni sono lì mentre il versante sottostante viene sottoposto a smottamenti, frane e agli effetti di movimenti tellurici. Una situazione di estrema criticità che, ora anche nero su bianco, emerge nero su bianco dopo il sopralluogo tecnico commissionato dal Comune proprio per capire se sia o meno possibile intervenire sugli immobili presenti per far rientrare a casa quelle famiglie che sono state sfollate dopo le dichiarazioni di inagibilità o se questa ipotesi sia da escludere. I proprietari di quegli immobili, di fatto, non potranno più abitare lì, in via Po. Il rischio c’è ed è evidente, considerando che l’incubo del dissesto idrogeologico e i suoi effetti collaterali, aggravati successivamente anche dal terremoto, sono da diverso tempo sotto gli occhi di tutti. E adesso si dovrà ragionare su come e dove andare a delocalizzare le famiglie proprietarie di quelle case, cercando di sbloccare i fondi per il terremoto. Per questo motivo, i tecnici dell’Arengo e quelli dell’Ufficio per la ricostruzione (che sulla questione si stanno muovendo con solerzia) hanno già svolto una conferenza di servizi prima di Natale e torneranno a fare il punto della situazione già intorno a metà gennaio. L’obiettivo è definire tutte le procedure che possano portare quelle persone sfollate a ricostruire o individuare una nuova abitazione in altre zone della città.

 

L’esito della perizia sulla situazione di via Po, affidata dall’Arengo al geologo Costantino Berardini,  di fatto certifica la criticità della presenza di quelle case in un contesto sicuramente a rischio. Un’analisi che in pratica conferma l’impossibilità di consentire ai proprietari di tornare nelle loro case originarie per motivi di sicurezza (chiaramente in assenza di un consistente e costosissimo intervento di eliminazione del rischio dissesto) con la necessità di ricorrere a delocalizzazioni in altre zone idonee. Considerando che tra le strutture a rischio ci sono due aggregati che si trovano sul ciglio della sponda del Chiaro, in una zona che nella stessa determinazione comunale di affidamento dell’incarico era stata definita «instabile dal punto geologico ad alto rischio frana» facendo riferimento ad una precedente relazione geologica già elaborata nel 2014 da Sante Stangoni. Considerando anche l’inagibilità di alcuni degli edifici a seguito del terremoto e l’inserimento della zona, nel recente Piano di microzonazione sismica di terzo livello, come area instabile, ovvero «un’area nella quale gli effetti sismici attesi e predominanti sono riconducibili a deformazioni permanenti del territorio». A questo punto, come detto, dopo l’esito della perizia geologica si è tenuta una conferenza dei servizi Arengo-Ufficio ricostruzione con un aggiornamento previsto subito dopo la metà di gennaio per valutare anche una relazione tecnica dettagliata riguardante in maniera separata la situazione di ciascun immobile presente.

 

A questo punto, si inizia ad intravvedere con maggiore chiarezza quello che sarà il percorso per quelle famiglie o persone proprietarie di quelle abitazioni risultate inagibili nelle quali non potranno tornare: si dovranno individuare nuove aree nelle quali poter andare a ricostruire una nuova casa oppure individuare appartamenti (di stessa metratura e valore di quelli evacuati, ma in linea con le più recenti normative) da acquistare. Il tutto con la possibilità di ottenere, per i casi di inagibilità causate dal sisma, la copertura economica prevista.

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