La recensione – Mannoia ad Ascoli, che sia benedetta…

di Luca Marcolini

Calda e pulita, l’inconfondibile voce di Fiorella attraversa la traboccante platea del Ventidio Basso e accarezza il cuore di Ascoli. Una città che applaude quella data zero come se fosse una tappa di ripartenza in tutti i sensi dopo la sofferenza degli ultimi mesi da queste parti. Il viaggio di Mannoia, autentica combattente che predica la pace, parte proprio dalle Marche e da un sound inconfondibile che va oltre la tecnica e il gusto sonoro per ripercorrere sotto una nuova veste tutto il cammino dal passato al futuro.  A supporto della sua compatta e raffinata pasta vocale, la Fiorella Mannoia di questo nuovo tour appena battezzato si conferma fermamente l’unica in grado di trasformare in poesia le canzoni di tutti quegli autori di pregio che hanno avuto il privilegio di lavorare con lei e di accompagnarla nel suo percorso. L’impatto con il suo pubblico – che gremisce il teatro ascolano fino all’inverosimile – è di quelli che ti prendono subito l’anima, senza infingimenti o effetti speciali, ma solo con la semplicità disarmante di chi sa cantar poesie con arrangiamenti confezionati su misura da una band di grande precisione ed eleganza, in grado di nascondere i virtuosismi per valorizzare il senso della musica “mannoiana”. Colori rock per le chitarre dei brani più datati come “Caffè nero bollente” che passano alle sfumature più attuali di un intreccio armonico perfetto di riff e tappeti sonori, con partiture di tastiere e piano in grado da sole di emozionare. Il tutto sostenuto da una ritmica (drums, bass & percussions) solida e travolgente. Ma, soprattutto, la bravura dei musicisti “combattenti” sta nel sapere creare il vuoto giusto, al momento giusto, attorno alla recitazione cantata di un mostro sacro dell’interpretazione qual è Fiorella Mannoia. Il concerto numero zero è calibrato, coinvolgente senza la ricerca ossessiva del colpo di scena da star system, ma con un incontro felice tra canzone e riflessione, seguendo un filo conduttore lungo il quale si incontrano i temi come l’indifferenza vera malattia di questo secolo, la voglia di combattere come voglia di resistere e opporsi a tutto ciò che è violenza, la figura della donna madre interiore in tutte le sue sfaccettature e tanto altro ancora. Equilibrata e azzeccata la scaletta che prende per mano lo spettatore accompagnandolo in maniera alterna tra passato e presente, tra “Sally” e “Perfetti sconosciuti”, tra il Sanremo di “Come si cambia” e quello appena lasciato dietro l’angolo.  Poi la chiusura con il ritmo che sale e fa saltare tutti sulle poltrone sulle note de “Il cielo d’Irlanda”, con Fiorella che scende le scale  e si reincarna nel suo pubblico, in un abbraccio tutt’altro che virtuale che la conduce tra strette di mano, abbracci e selfie, quasi ad arrivare alla perfetta compenetrazione tra spettatore e artista. Ma, quando nessuno avrebbe voglia di smettere, arriva il crash finale, per accompagnare lo spettacolo verso il suo epilogo, e c’è d’improvviso un silenzio che vibra ancora di forti emozioni. Dentro di sé, in quei 10 secondi di silenzio assoluto, ciascuno degli spettatori in piedi, guardando Fiorella sparire nel buio, avrà pensato: “Che sia benedetta”.

 

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Direttore responsabile della Gazzetta di Ascoli Giornalista professionista e scrittore

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